L'entrata
in guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915, costrinse l'Austria ad attestarsi
su fronti sicuri, difendibili (perché gia adeguatamente fortificati),
abbandonando in Vallarsa, alle porte di Rovereto i forti di Valmorbia e
Matassone ancora in fase di costruzione.
A
seguito dell'offensiva austriaca del maggio del '16, passata alla storia
come Strafexpedition (Spedizione punitiva), il Monte Corno, una propaggine
a sud ovest del Pasubio assunse un ruolo strategico di primaria importanza.
Il
piano militare austroungarico era assai ambizioso: attuare lo sfondamento
del fronte prealpino, nella zona Sette Comuni - Pasubio, con conseguente
apertura sulla pianura veneta, e abbattere l'Italia definitivamente.
L'inaspettata resistenza, le difficoltà del terreno, l'afflusso
dei rinforzi ai reparti italiani e infine la necessità di inviare
uomini e mezzi in Galizia, costrinsero gli austriaci ad un accorciamento
del fronte.
Tanto
si è scritto sulle enormi perdite umane da ambo le parti ed altrettanto
abbondante è la diaristica e la cronaca dei profughi che, dalle
zone di guerra, fuggivano precipitosamente abbandonando ogni avere, registrando
eventi e strazianti moti dell'animo.
L'esercito austroungarico con l'offensiva del 1916 aveva conquistato importanti
posizioni tra le quali monte Corno di Vallarsa, una configurazione orografica
non particolarmente elevata, ma eccezionale rispetto alla posizione dominante
sul fronte e per questo conosciuta dai combattenti come "l'occhio"
del Pasubio. A seguito della Strafexpedition, la linea di fronte percorreva
la Vallarsa, attestandosi nuovamente a Valmorbia, correndo lungo il crinale
del m.te Spil, passando per il m.te Corno, per la Bocchetta dei Foxi,
verso il m.te Cosmagnon e il Pasubio. Da qui l'importanza del Corno un
ottimo osservatorio rispetto ad eventuali movimenti italiani a valle e
non solo, permettendo di fatto un controllo a 360 gradi delle catene circostanti.
Agli
alpini del battaglione Vicenza toccò il compito di impadronirsi
del Monte Trappola, contrafforte boscoso dominante la val di Foxi e la
val di Grobe, sul versante meridionale del Corno e di risalire attraverso
uno scosceso pendio, sino a Cima Alta, divenuta appiglio tattico degli
italiani per la conquista del Corno. Pur attestati su Cima Alta, gli alpini
si trovavano di fronte ad una parete verticale, che si innalzava sopra
le loro teste, separandoli, di fatto, dalla cima di m.te Corno, sulla
quale si erano affacciati gli austriaci, fortemente trincerati e assicurati
anche da un labirinto di gallerie che avevano scavato all'interno del
monte.
Un primo tentativo di occupare la vetta avvenne nella notte del 3 luglio
1916, quando Battisti con la sua compagnia tentò di assaltare le
posizioni austriache, coadiuvato, secondo accordi ben precisi, dal tenente
Cesco Tommaselli che col reparto esploratori sarebbe dovuto salire direttamente
dalla Cima Alta verso la sommità del Corno e realizzare in tal
modo un'azione a sorpresa.
La vigilanza austriaca sventò l'attacco che fu reiterato, peraltro
senza successo, la notte successiva. In quell'occasione alcuni soldati
fatti prigionieri, stanchi del comportamento ostinato dell'ufficiale trentino,
ne svelarono la presenza agli austriaci.
Un ulteriore tentativo venne concertato dal Comando di Settore con il
maggiore Frottola avvalendosi ancora una volta dei consigli del Battisti,
buon conoscitore dei luoghi.
Obiettivi
dell'azione italiana erano la Selletta che congiunge il monte Corno con
l'altura a nord (conosciuta in tempo di guerra con la denominazione altimetrica
di Quota 1801), la cima del Corno, la stessa Quota 1801 e ad est la dorsale
del monte Spil.
L'attacco doveva svolgersi con una manovra "a tenaglia": il
battaglione Vicenza con la compagnia Battisti e il III° Puglie avrebbero
risalito il canalone lungo le pendici occidentali del Corno, di notte,
nel massimo silenzio (tra il 9 e il 10 luglio), contemporaneamente due
battaglioni di fanteria Il I° Ancona e il II° Puglie sarebbero
risaliti per il canalone orientale (dalla val di Foxi). Un segnale convenzionale
doveva precedere l'azione convergente delle due ali che, assieme, si sarebbero
mosse alla presa del Corno e delle linee di trincea a nord e nord est.
Se
il battaglione facente capo al Battisti raggiunse l'obiettivo iniziale,
catturando i difensori della Selletta e penetrando nelle posizioni di
vetta, i fanti che dovevano risalire la val dei Foxi (quasi tutti di origine
meridionale, da poco rientrati dall'Albania e per nulla pratici dell'ambiente
montano aspro e difficile del Pasubio), finirono col disperdersi sui ripidi
fianchi dell'altura senza giungere al punto convenuto.
Nella
confusione dell'azione alle 2.30 il battaglione Vicenza si lanciò
all'attacco di Quota 1801, senza accertarsi che le truppe di fanteria
fossero in posizione.
Verso le 3.00 iniziò contro gli assalitori un intenso tiro di mitragliatrici
e subito dopo di artiglieria, rendendo impossibile qualsiasi movimento.
Alle 4.00 vista la resistenza austriaca e costatato il mancato appoggio
dei battaglioni di fanteria il maggiore Frottola ordinò la sospensione
dell'azione.
A questo punto Battisti e i suoi uomini si trovarono isolati e ben presto
vennero soprafatti dalla reazione dei soldati austriaci che scendendo
dalle alture a nord, preceduti da un tremendo fuoco di artiglieria, occuparono
la Selletta facendoli prigionieri. L'azione di Monte Corno si concluse
per gli italiani con massicce perdite: 470 uomini fra morti e dispersi.
Cesare
Battisti e Fabio Filzi, riconosciuti dal cadetto Bruno Franceschini, furono
dapprima trasferiti a Malga Zocchi, comando di settore, dove furono sottoposti
ad un primo interrogatorio, successivamente portati a Trento, processati
e giustiziati per impiccagione il 12 luglio 1916 nella "fossa"
del Castello del Buonconsiglio.
Nel volume di D.Fontana e G.Magrin Battaglion Baionetta (cfr. bibliografia),
si leggono minuziose testimonianze tratte dai diari inediti di tenenti
(Suppi, Palmieri) e di semplici alpini, che rivelano la non perfetta coincidenza
nella ricostruzione dei fatti relativi alle vicende militari accadute
sul monte Corno. L'incrocio delle informazioni, gli aspetti oggettivi
delle stesse, messi a dura prova dai moti degli animi di chi narra, aprono
interessanti e talvolta contrastanti scenari sui risvolti psicologici,
sulle relazioni umane, personali che intercorrevano tra uomini in guerra.
Non sempre chi occupa posizioni di comando, chi impartisce gli ordini,
si fa interprete della volontà di coloro che, subalterni, hanno
la mente e l'anima mosse da altri aneliti, spesso ben diversi da quelli
proposti e imposti dall'ideologia e dalla politica.
Le vicende della "Spia di Vallarsa" non si chiusero con l'evento
tragico del 10 luglio 1916, ma ebbero un lungo seguito, tanta era la risolutezza,
da parte italiana, di eliminare definitivamente il prezioso caposaldo
austriaco.
Per questo, rafforzate le posizioni raggiunte, le truppe italiane fortificarono
monte Trappola (dalla parte esposta verso il monte Corno e lo Spil) e,
nelle retrovie, si impegnarono nella costruzione di mulattiere, baracche,
depositi, comandi.
Ben presto si fece strada, nella mente degli alti comandi, l'idea che
un solo rimedio potesse porre fine a quell'ardito avamposto nemico: minare
il monte Corno, eliminare quella montagna, far scomparire dall'orografia
della zona quell'elemento naturale che, paradossalmente, tanto poco rappresentava
dal punto di vista altimetrico, quanto grave era il motivo del contendere
a causa dalla sua posizione strategica.
Nell'anno 1917, ma già nell'inverno del 1916, ebbe inizio un lavoro
faticosissimo e logorante anche dal punto di vista psicologico, da parte
di entrambi i contendenti, oggi ben visibile a tutti coloro che vogliano
percorrere le gallerie di monte Corno di Vallarsa.
Gli uomini dei due eserciti in guerra ebbero quell'inverno la sfortuna
di dover affrontare un nemico comune: l'inverno. E quella fu ricordata
come la stagione più nevosa del secolo.
Molte, da entrambe le parti, le corvè partite alla volta dei propri
compagni e mai arrivate, trascinate a valle con viveri e armi e ritrovate
solo a primavera.
Furono costruiti diversi baraccamenti, in muratura e in legno, che sorgevano
sul monte Trappola e in val di Foxi, segnate mulattiere, allargati vecchi
sentieri, usati in passato per il pascolo o per la raccolta della legna
ad uso domestico.
Lo stabilizzarsi del fronte nella bassa e media Vallarsa, richiese il
mantenimento e il vettovagliamento di migliaia di soldati; particolarmente
pressante era il problema dei rifornimenti idrici (in questo stesso anno
ebbe inizio la progettazione e la successiva realizzazione dell'acquedotto
della val Foxi, ultimato nel 1918, dotato di serbatoi di accumulo a valle
e di depositi d'acqua sul monte Trappola e ai piedi dello stesso monte
Corno).
Il 1918 fu sul Pasubio l'anno delle mine. Già dal settembre 1917
gli austriaci, avevano fatto saltare tratti di fronte e, l'idea di fare
una cosa analoga sul Corno, prese corpo anche nell'alto comando italiano.
Si cominciò a "bucare" la montagna nel febbraio del 1918,
aggredendo la base della parete a strapiombo sul canalone rivolto ad ovest.
Compagnie di "zappatori" e minatori si susseguirono nell'opera
di scavo e perforazione del monte: il progetto prevedeva l'entrata nella
parte inferiore (l'accesso al sistema sotterraneo venne chiamato Bocca
del Leone), quindi la risalita, nelle viscere della montagna, attraverso
una galleria a forma elicoidale che sarebbe dovuta terminare proprio sotto
il sistema sotterraneo austriaco: l'attuale bivio della cisterna, in quel
punto, si progettò la camera a scoppio.
Le truppe imperiali tentarono in ogni modo di disturbare l'impresa; tanto
che nel maggio 1918, la galleria si fermò a pochissimi metri dal
nemico. Anche gli austriaci lavorarono alacremente ad un'operazione di
"contromina" che, partendo dalla selletta, terminava anch'essa
in una camera a scoppio, pare mai caricata come invece accadde per quella
italiana.
La "camera" scavata dalle truppe italiane fu riempita con migliaia
di chilogrammi di esplosivo che si decise di far brillare il 10 maggio
1918.
Gli eventi storici e più frequentemente quelli bellici sono intrinsecamente
imprevedibili, l'uomo mettendo a frutto intelligenza, tattica e esperienza
tenta sempre e comunque la determinazione del proprio destino: la storia
insegna che alla ratio sfugge, fortunatamente, la totale dominanza del
ciclo della vita.
Così accadde che nulla di quanto organizzato fosse attuato. Le
informazioni fornite agli italiani da un disertore austriaco relativamente
al morale del nemico e in particolare sul sistema di contromina, nonché
sull'intero apparato difensivo austriaco, indussero il comando italiano
ad ordinare la sospensione dell'azione e a dare nuove disposizioni per
la conquista di monte Corno.
L'azione fu condotta da reparti poco numerosi e ben addestrati che attaccate
le linee austriache nel punto più vulnerabile si sarebbero dirette
verso monte Corno. Successivamente le truppe d'assalto avrebbero spinto
l'offensiva sulla soprastante quota 1801.
Si trattò quindi di organizzare "un colpo di mano", progettato
per scardinare la pericolosa posizione-perno della linea nemica, che opprimeva
dall'alto l'esercito italiano.
Il comando militare italiano era convinto che questa tattica avrebbe giovato
anche allo spirito dei soldati, lo avrebbe rinvigorito, alimentando quell'impeto
patriottico che, forse, nei lunghi mesi di lavoro sotterraneo, era stato
pesantemente soffocato dagli eventi fisici come la fatica e il freddo,
nonché dal logorio psicologico dovuto alla fissità e alla
vicinanza dei due fronti nemici.
Gli austriaci avevano provveduto anche ad aprire feritoie sul monte Corno,
verso sud e sud-est, tenendo sotto controllo anche la difficile posizione
degli italiani a Cima Alta.
L'azione fu compiuta dalla compagnia d'assalto della brigata di fanteria
Murge e dagli "arditi" di un reparto d'assalto di stanza in
Vallarsa.
Apparentemente insuperabili apparvero le opere di difesa passive "fuori
terra" allestite dal comando austroungarico: profondi camminamenti
difesi da robusti reticolati, trinceramenti che collegavano la selletta,
la cima di monte Corno e la quota 1801.
Per quanto riguardava le opere sotterranee, oltre alle temibili feritoie
(con campo di tiro sul canalone ovest, est e Cima Alta, nonché
sulla sottostante Vallarsa, allargando il dominio visivo sulla linea italiana
di passo Buole e monte Zugna), si individuarono tre gallerie a più
sbocchi.
Tutte le postazioni erano ben armate con mitragliatrici "incavernate",
cannoncini da montagna, depositi d'armi e munizioni, senza dimenticare
la presenza di riserve austriache pronte ad entrare in azione da malga
Zocchi.
Le piccole pattuglie di arditi seguirono i passi di Cesare Battisti e
degli alpini del Vicenza, risalendo il medesimo canalone riuscirono a
localizzare il punto in cui il nemico era più vulnerabile: la famosa
selletta che separava quota 1801 dalla cima di monte Corno.
L'operazione, proprio perché caratterizzata dall'elemento sorpresa,
fu appoggiata dall'artiglieria soltanto nei momenti successivi, a copertura
dei reparti attaccanti.
La strategia militare prevedeva, una divisione su quattro fronti di attacco
delle forze in campo che, nella notte del 10 maggio 1918, avrebbero dovuto
cingere completamente tutta la posizione di monte Corno.
L'effetto sorpresa diede immediati risultati positivi, per quanto la reazione
austriaca fu altrettanto precisa e intensa: le armi automatiche di quota
1801 resero estremamente difficile la conclusione dell'operazione (nuclei
di arditi rimasero intrappolati all'interno del sistema sotterraneo austriaco,
altri, contrattaccati da dietro, e pur già sulla cima, dovettero
retrocedere) a questo punto, il contesto diveniva simile quello del 10
luglio 1916.
Determinante, per sbloccare la situazione, l'intervento dell'artiglieria
italiana che soffocò il contrattacco austriaco, permettendo, nelle
posizioni di monte Trappola e nei comandi ad Anghebeni, la riorganizzazione
delle forze di rincalzo.
Ciononostante la situazione degenerò poiché le azioni sferrate
dagli austroungarici erano estremamente violente: dall'artiglieria con
proiettili a gas, fino a feroci corpo a corpo.
Nonostante l'intervento di un altro plotone della Murge, si andò
a determinare una realtà di guerra davvero incredibile; italiani
e austroungarici rispettivamente asserragliati in gallerie, scavate nella
stessa montagna, controllate agli imbocchi, ciascuna dalle truppe nemiche:
ai piedi del monte Corno gli italiani, padroni del "tetto" gli
austriaci.
Mentre i giornali nazionali riportavano i testi dei Bollettini del Comando
Supremo che annunciavano la presa del monte Corno, gli Austroungarici
parlavano di riconquista dello stesso monte.
Sarà il tenente Carlo Sabatini, già noto per una brillante
azione del suo reparto d'assalto in Valmorbia, a trovare, con pochi altri
uomini, la "chiave di volta" della situazione.
Questi, armati di una buona dose di coraggio, scalarono le decine di metri
di parete a strapiombo, costituita da roccia estremamente friabile, che
li separavano dalla cima. Probabilmente, la conformazione poco affidabile
della struttura rocciosa, fu alla base della convinzione, da parte delle
sentinelle nemiche, che nessun pericolo potesse sopraggiungere da quel
versante, sottraendolo, di fatto, ad azioni di controllo e guardia.
Quella che nacque come un'iniziale "mischia" di pochi uomini,
si concretizzò nella definitiva presa del monte Corno. Di fatto,
soltanto quando il Genio ebbe realizzato il collegamento tra i due sistemi
sotterranei e costruito un pozzo che collegava la feritoia utilizzata
dal Sabatini e dai suoi soldati alla lunetta sulla cima, la vita militare
in quel contesto poté considerarsi non più ad alto rischio.
Nel novembre del 1918 le truppe italiane varcarono la selletta e, nel
silenzio che connota il tempo dopo la battaglia, raggiunsero quota1801
abbandonata dagli austriaci e da quel luogo ripercorsero la via verso
Trento già conosciuta da Cesare Battisti e Fabio Filzi.
La Storia di monte Corno di Vallarsa si snoda lungo quattro anni di guerra:
episodi e vicende belliche, cronistorie di attacchi e rese, rivelano,
a chi ne sa leggere in profondità pensieri, aneliti, debolezze
umane, una comune sofferenza per la propria e altrui condizione.
Significativa in questo senso è la lettura di "La prova
del fuoco" di Carlo Pastorino ed in particolare il capitolo intitolato
"Chi ha visto" che esprime con dolcezza e strazio il
senso dell'amicizia e del ricordo degli amici caduti in trincea.
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