Monte Corno
BCMV

Tempo di percorrenza: (andata e ritorno) ore 2.30 cima del monte Corno. - 4 ore con il percoroso Galli fino alla Bocca del Leone

Dislivello complessivo: mt. 350 fino alla cima del Corno - mt. 500 aggiungendo la ferrata sul percorso Galli. Quota massima: mt. 1761

Cartografia:
Kompass 101

Difficoltà: fino alla selletta Battisti e alla cima del monte Corno percorso agevole, accessibile a tutti;
per coloro che, giunti al Corno, intendessero proseguire per il sentiero attrezzato Galli, si consiglia un corredo idoneo a percorsi in galleria su via ferrata, il sentiero Galli per i tratti esposti che presenta è sconsigliabile a chi soffre di vertigini.

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CENNI STORICI
a cura di Roberta Andreatta
 
L'entrata in guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915, costrinse l'Austria ad attestarsi su fronti sicuri, difendibili (perché gia adeguatamente fortificati), abbandonando in Vallarsa, alle porte di Rovereto i forti di Valmorbia e Matassone ancora in fase di costruzione.

A seguito dell'offensiva austriaca del maggio del '16, passata alla storia come Strafexpedition (Spedizione punitiva), il Monte Corno, una propaggine a sud ovest del Pasubio assunse un ruolo strategico di primaria importanza.

Il piano militare austroungarico era assai ambizioso: attuare lo sfondamento del fronte prealpino, nella zona Sette Comuni - Pasubio, con conseguente apertura sulla pianura veneta, e abbattere l'Italia definitivamente.
L'inaspettata resistenza, le difficoltà del terreno, l'afflusso dei rinforzi ai reparti italiani e infine la necessità di inviare uomini e mezzi in Galizia, costrinsero gli austriaci ad un accorciamento del fronte.

Tanto si è scritto sulle enormi perdite umane da ambo le parti ed altrettanto abbondante è la diaristica e la cronaca dei profughi che, dalle zone di guerra, fuggivano precipitosamente abbandonando ogni avere, registrando eventi e strazianti moti dell'animo.
L'esercito austroungarico con l'offensiva del 1916 aveva conquistato importanti posizioni tra le quali monte Corno di Vallarsa, una configurazione orografica non particolarmente elevata, ma eccezionale rispetto alla posizione dominante sul fronte e per questo conosciuta dai combattenti come "l'occhio" del Pasubio. A seguito della Strafexpedition, la linea di fronte percorreva la Vallarsa, attestandosi nuovamente a Valmorbia, correndo lungo il crinale del m.te Spil, passando per il m.te Corno, per la Bocchetta dei Foxi, verso il m.te Cosmagnon e il Pasubio. Da qui l'importanza del Corno un ottimo osservatorio rispetto ad eventuali movimenti italiani a valle e non solo, permettendo di fatto un controllo a 360 gradi delle catene circostanti.

Agli alpini del battaglione Vicenza toccò il compito di impadronirsi del Monte Trappola, contrafforte boscoso dominante la val di Foxi e la val di Grobe, sul versante meridionale del Corno e di risalire attraverso uno scosceso pendio, sino a Cima Alta, divenuta appiglio tattico degli italiani per la conquista del Corno. Pur attestati su Cima Alta, gli alpini si trovavano di fronte ad una parete verticale, che si innalzava sopra le loro teste, separandoli, di fatto, dalla cima di m.te Corno, sulla quale si erano affacciati gli austriaci, fortemente trincerati e assicurati anche da un labirinto di gallerie che avevano scavato all'interno del monte.


Un primo tentativo di occupare la vetta avvenne nella notte del 3 luglio 1916, quando Battisti con la sua compagnia tentò di assaltare le posizioni austriache, coadiuvato, secondo accordi ben precisi, dal tenente Cesco Tommaselli che col reparto esploratori sarebbe dovuto salire direttamente dalla Cima Alta verso la sommità del Corno e realizzare in tal modo un'azione a sorpresa.
La vigilanza austriaca sventò l'attacco che fu reiterato, peraltro senza successo, la notte successiva. In quell'occasione alcuni soldati fatti prigionieri, stanchi del comportamento ostinato dell'ufficiale trentino, ne svelarono la presenza agli austriaci.
Un ulteriore tentativo venne concertato dal Comando di Settore con il maggiore Frottola avvalendosi ancora una volta dei consigli del Battisti, buon conoscitore dei luoghi.

Obiettivi dell'azione italiana erano la Selletta che congiunge il monte Corno con l'altura a nord (conosciuta in tempo di guerra con la denominazione altimetrica di Quota 1801), la cima del Corno, la stessa Quota 1801 e ad est la dorsale del monte Spil.
L'attacco doveva svolgersi con una manovra "a tenaglia": il battaglione Vicenza con la compagnia Battisti e il III° Puglie avrebbero risalito il canalone lungo le pendici occidentali del Corno, di notte, nel massimo silenzio (tra il 9 e il 10 luglio), contemporaneamente due battaglioni di fanteria Il I° Ancona e il II° Puglie sarebbero risaliti per il canalone orientale (dalla val di Foxi). Un segnale convenzionale doveva precedere l'azione convergente delle due ali che, assieme, si sarebbero mosse alla presa del Corno e delle linee di trincea a nord e nord est.

Se il battaglione facente capo al Battisti raggiunse l'obiettivo iniziale, catturando i difensori della Selletta e penetrando nelle posizioni di vetta, i fanti che dovevano risalire la val dei Foxi (quasi tutti di origine meridionale, da poco rientrati dall'Albania e per nulla pratici dell'ambiente montano aspro e difficile del Pasubio), finirono col disperdersi sui ripidi fianchi dell'altura senza giungere al punto convenuto.

Nella confusione dell'azione alle 2.30 il battaglione Vicenza si lanciò all'attacco di Quota 1801, senza accertarsi che le truppe di fanteria fossero in posizione.
Verso le 3.00 iniziò contro gli assalitori un intenso tiro di mitragliatrici e subito dopo di artiglieria, rendendo impossibile qualsiasi movimento.
Alle 4.00 vista la resistenza austriaca e costatato il mancato appoggio dei battaglioni di fanteria il maggiore Frottola ordinò la sospensione dell'azione.


A questo punto Battisti e i suoi uomini si trovarono isolati e ben presto vennero soprafatti dalla reazione dei soldati austriaci che scendendo dalle alture a nord, preceduti da un tremendo fuoco di artiglieria, occuparono la Selletta facendoli prigionieri. L'azione di Monte Corno si concluse per gli italiani con massicce perdite: 470 uomini fra morti e dispersi.

Cesare Battisti e Fabio Filzi, riconosciuti dal cadetto Bruno Franceschini, furono dapprima trasferiti a Malga Zocchi, comando di settore, dove furono sottoposti ad un primo interrogatorio, successivamente portati a Trento, processati e giustiziati per impiccagione il 12 luglio 1916 nella "fossa" del Castello del Buonconsiglio.


Nel volume di D.Fontana e G.Magrin Battaglion Baionetta (cfr. bibliografia), si leggono minuziose testimonianze tratte dai diari inediti di tenenti (Suppi, Palmieri) e di semplici alpini, che rivelano la non perfetta coincidenza nella ricostruzione dei fatti relativi alle vicende militari accadute sul monte Corno. L'incrocio delle informazioni, gli aspetti oggettivi delle stesse, messi a dura prova dai moti degli animi di chi narra, aprono interessanti e talvolta contrastanti scenari sui risvolti psicologici, sulle relazioni umane, personali che intercorrevano tra uomini in guerra. Non sempre chi occupa posizioni di comando, chi impartisce gli ordini, si fa interprete della volontà di coloro che, subalterni, hanno la mente e l'anima mosse da altri aneliti, spesso ben diversi da quelli proposti e imposti dall'ideologia e dalla politica.

Le vicende della "Spia di Vallarsa" non si chiusero con l'evento tragico del 10 luglio 1916, ma ebbero un lungo seguito, tanta era la risolutezza, da parte italiana, di eliminare definitivamente il prezioso caposaldo austriaco.
Per questo, rafforzate le posizioni raggiunte, le truppe italiane fortificarono monte Trappola (dalla parte esposta verso il monte Corno e lo Spil) e, nelle retrovie, si impegnarono nella costruzione di mulattiere, baracche, depositi, comandi.
Ben presto si fece strada, nella mente degli alti comandi, l'idea che un solo rimedio potesse porre fine a quell'ardito avamposto nemico: minare il monte Corno, eliminare quella montagna, far scomparire dall'orografia della zona quell'elemento naturale che, paradossalmente, tanto poco rappresentava dal punto di vista altimetrico, quanto grave era il motivo del contendere a causa dalla sua posizione strategica.

Nell'anno 1917, ma già nell'inverno del 1916, ebbe inizio un lavoro faticosissimo e logorante anche dal punto di vista psicologico, da parte di entrambi i contendenti, oggi ben visibile a tutti coloro che vogliano percorrere le gallerie di monte Corno di Vallarsa.
Gli uomini dei due eserciti in guerra ebbero quell'inverno la sfortuna di dover affrontare un nemico comune: l'inverno. E quella fu ricordata come la stagione più nevosa del secolo.
Molte, da entrambe le parti, le corvè partite alla volta dei propri compagni e mai arrivate, trascinate a valle con viveri e armi e ritrovate solo a primavera.
Furono costruiti diversi baraccamenti, in muratura e in legno, che sorgevano sul monte Trappola e in val di Foxi, segnate mulattiere, allargati vecchi sentieri, usati in passato per il pascolo o per la raccolta della legna ad uso domestico.
Lo stabilizzarsi del fronte nella bassa e media Vallarsa, richiese il mantenimento e il vettovagliamento di migliaia di soldati; particolarmente pressante era il problema dei rifornimenti idrici (in questo stesso anno ebbe inizio la progettazione e la successiva realizzazione dell'acquedotto della val Foxi, ultimato nel 1918, dotato di serbatoi di accumulo a valle e di depositi d'acqua sul monte Trappola e ai piedi dello stesso monte Corno).

Il 1918 fu sul Pasubio l'anno delle mine. Già dal settembre 1917 gli austriaci, avevano fatto saltare tratti di fronte e, l'idea di fare una cosa analoga sul Corno, prese corpo anche nell'alto comando italiano.
Si cominciò a "bucare" la montagna nel febbraio del 1918, aggredendo la base della parete a strapiombo sul canalone rivolto ad ovest. Compagnie di "zappatori" e minatori si susseguirono nell'opera di scavo e perforazione del monte: il progetto prevedeva l'entrata nella parte inferiore (l'accesso al sistema sotterraneo venne chiamato Bocca del Leone), quindi la risalita, nelle viscere della montagna, attraverso una galleria a forma elicoidale che sarebbe dovuta terminare proprio sotto il sistema sotterraneo austriaco: l'attuale bivio della cisterna, in quel punto, si progettò la camera a scoppio.
Le truppe imperiali tentarono in ogni modo di disturbare l'impresa; tanto che nel maggio 1918, la galleria si fermò a pochissimi metri dal nemico. Anche gli austriaci lavorarono alacremente ad un'operazione di "contromina" che, partendo dalla selletta, terminava anch'essa in una camera a scoppio, pare mai caricata come invece accadde per quella italiana.
La "camera" scavata dalle truppe italiane fu riempita con migliaia di chilogrammi di esplosivo che si decise di far brillare il 10 maggio 1918.
Gli eventi storici e più frequentemente quelli bellici sono intrinsecamente imprevedibili, l'uomo mettendo a frutto intelligenza, tattica e esperienza tenta sempre e comunque la determinazione del proprio destino: la storia insegna che alla ratio sfugge, fortunatamente, la totale dominanza del ciclo della vita.

Così accadde che nulla di quanto organizzato fosse attuato. Le informazioni fornite agli italiani da un disertore austriaco relativamente al morale del nemico e in particolare sul sistema di contromina, nonché sull'intero apparato difensivo austriaco, indussero il comando italiano ad ordinare la sospensione dell'azione e a dare nuove disposizioni per la conquista di monte Corno.
L'azione fu condotta da reparti poco numerosi e ben addestrati che attaccate le linee austriache nel punto più vulnerabile si sarebbero dirette verso monte Corno. Successivamente le truppe d'assalto avrebbero spinto l'offensiva sulla soprastante quota 1801.
Si trattò quindi di organizzare "un colpo di mano", progettato per scardinare la pericolosa posizione-perno della linea nemica, che opprimeva dall'alto l'esercito italiano.
Il comando militare italiano era convinto che questa tattica avrebbe giovato anche allo spirito dei soldati, lo avrebbe rinvigorito, alimentando quell'impeto patriottico che, forse, nei lunghi mesi di lavoro sotterraneo, era stato pesantemente soffocato dagli eventi fisici come la fatica e il freddo, nonché dal logorio psicologico dovuto alla fissità e alla vicinanza dei due fronti nemici.
Gli austriaci avevano provveduto anche ad aprire feritoie sul monte Corno, verso sud e sud-est, tenendo sotto controllo anche la difficile posizione degli italiani a Cima Alta.
L'azione fu compiuta dalla compagnia d'assalto della brigata di fanteria Murge e dagli "arditi" di un reparto d'assalto di stanza in Vallarsa.
Apparentemente insuperabili apparvero le opere di difesa passive "fuori terra" allestite dal comando austroungarico: profondi camminamenti difesi da robusti reticolati, trinceramenti che collegavano la selletta, la cima di monte Corno e la quota 1801.
Per quanto riguardava le opere sotterranee, oltre alle temibili feritoie (con campo di tiro sul canalone ovest, est e Cima Alta, nonché sulla sottostante Vallarsa, allargando il dominio visivo sulla linea italiana di passo Buole e monte Zugna), si individuarono tre gallerie a più sbocchi.
Tutte le postazioni erano ben armate con mitragliatrici "incavernate", cannoncini da montagna, depositi d'armi e munizioni, senza dimenticare la presenza di riserve austriache pronte ad entrare in azione da malga Zocchi.
Le piccole pattuglie di arditi seguirono i passi di Cesare Battisti e degli alpini del Vicenza, risalendo il medesimo canalone riuscirono a localizzare il punto in cui il nemico era più vulnerabile: la famosa selletta che separava quota 1801 dalla cima di monte Corno.
L'operazione, proprio perché caratterizzata dall'elemento sorpresa, fu appoggiata dall'artiglieria soltanto nei momenti successivi, a copertura dei reparti attaccanti.
La strategia militare prevedeva, una divisione su quattro fronti di attacco delle forze in campo che, nella notte del 10 maggio 1918, avrebbero dovuto cingere completamente tutta la posizione di monte Corno.
L'effetto sorpresa diede immediati risultati positivi, per quanto la reazione austriaca fu altrettanto precisa e intensa: le armi automatiche di quota 1801 resero estremamente difficile la conclusione dell'operazione (nuclei di arditi rimasero intrappolati all'interno del sistema sotterraneo austriaco, altri, contrattaccati da dietro, e pur già sulla cima, dovettero retrocedere) a questo punto, il contesto diveniva simile quello del 10 luglio 1916.
Determinante, per sbloccare la situazione, l'intervento dell'artiglieria italiana che soffocò il contrattacco austriaco, permettendo, nelle posizioni di monte Trappola e nei comandi ad Anghebeni, la riorganizzazione delle forze di rincalzo.
Ciononostante la situazione degenerò poiché le azioni sferrate dagli austroungarici erano estremamente violente: dall'artiglieria con proiettili a gas, fino a feroci corpo a corpo.
Nonostante l'intervento di un altro plotone della Murge, si andò a determinare una realtà di guerra davvero incredibile; italiani e austroungarici rispettivamente asserragliati in gallerie, scavate nella stessa montagna, controllate agli imbocchi, ciascuna dalle truppe nemiche: ai piedi del monte Corno gli italiani, padroni del "tetto" gli austriaci.
Mentre i giornali nazionali riportavano i testi dei Bollettini del Comando Supremo che annunciavano la presa del monte Corno, gli Austroungarici parlavano di riconquista dello stesso monte.

Sarà il tenente Carlo Sabatini, già noto per una brillante azione del suo reparto d'assalto in Valmorbia, a trovare, con pochi altri uomini, la "chiave di volta" della situazione.
Questi, armati di una buona dose di coraggio, scalarono le decine di metri di parete a strapiombo, costituita da roccia estremamente friabile, che li separavano dalla cima. Probabilmente, la conformazione poco affidabile della struttura rocciosa, fu alla base della convinzione, da parte delle sentinelle nemiche, che nessun pericolo potesse sopraggiungere da quel versante, sottraendolo, di fatto, ad azioni di controllo e guardia.
Quella che nacque come un'iniziale "mischia" di pochi uomini, si concretizzò nella definitiva presa del monte Corno. Di fatto, soltanto quando il Genio ebbe realizzato il collegamento tra i due sistemi sotterranei e costruito un pozzo che collegava la feritoia utilizzata dal Sabatini e dai suoi soldati alla lunetta sulla cima, la vita militare in quel contesto poté considerarsi non più ad alto rischio.

Nel novembre del 1918 le truppe italiane varcarono la selletta e, nel silenzio che connota il tempo dopo la battaglia, raggiunsero quota1801 abbandonata dagli austriaci e da quel luogo ripercorsero la via verso Trento già conosciuta da Cesare Battisti e Fabio Filzi.
La Storia di monte Corno di Vallarsa si snoda lungo quattro anni di guerra: episodi e vicende belliche, cronistorie di attacchi e rese, rivelano, a chi ne sa leggere in profondità pensieri, aneliti, debolezze umane, una comune sofferenza per la propria e altrui condizione.
Significativa in questo senso è la lettura di "La prova del fuoco" di Carlo Pastorino ed in particolare il capitolo intitolato "Chi ha visto" che esprime con dolcezza e strazio il senso dell'amicizia e del ricordo degli amici caduti in trincea.

..."Nel consegnare gl'indirizzi si arrossisce sempre un poco perché si teme che l'altro possa scorgervi debolezza o sentimentalità; ma l'amico pur fingendo di scherzarvi su, prende la cosa assai seriamente; e quasi sempre avviene che anche lui scriva alcune righe da consegnare a noi: sono gli indirizzi delle sue persone care.
Il nostro nome e il nome di queste persone care sono anche altrove: al comando del reggimento mobilitato, al comando del deposito e fors'anche al distretto; ma se uno di noi cadesse, le notizie che alle nostre case fossero mandate da quelle fonti, avrebbero sempre un che di stilizzato e di burocratico, eguali per tutti, tutte su uno stesso piano, con le stesse lodi, con gli stessi generici elogi, con parole ricercate, con inni alla purezza e alla nobiltà del sacrificio; parole buone, scritte con retta intenzione, ma, ciò non ostante, fredde e vuote. Alla paura delle parole buone, degli elogi e degli inni ci han spinto le colonne dei giornali, i discorsi delle piazze, e gli stessi bollettini di guerra; noi ora siamo tanto lontani da tutte queste cose come è il sole dalla terra. Parole e parole! Parole elaborate da spiriti sedentari, da anime povere e incolori, da uomini di redazione e di ufficio, pesanti e incapaci di uscire dal melmoso stagno delle frasi fatte e della retorica.
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