"A
Rovereto - scrive L'Idea nazionale - le condizioni
della città già gravissime, vanno diventando sempre
peggiori. Secondo una corrispondenza da Verona le
truppe mobili bavaresi hanno posto le loro tende nel
campo trincerato ad ovest della città fra l'Adige
e la confluenza del torrente Leno, in un avvallamento
lungo la linea ferroviaria, campo che era fino al
riparo dalla nostre artiglierie di Zugna. Invece i
"landeschutzen" si sono addossati sui forti alla destra
dell'Adige lungo la dorsale del Bondone che domina
la val Lagrarina , in prosecuzione dei forti del Baldo
e dell'Altissimo, che secondo i piani del generale
Conrad e dell'Arciduca Francesco Ferdinando, doveva
rendere impossibile qualunque nostro tentativo di
avanzata.
Il Comando austriaco, stabilitosi nel castello di
Rovereto, ha già organizzata la difesa della città,
collocando su postazioni delle potenti artiglierie
e abbattendo in giro quanto poteva ostacolare il tiro.
La vita in città è ridotta ad una vera agonia; i pochi
cittadini non osano mostrarsi per le vie, dove non
si aggirano che soldati, i quali si abbandonano a
violenze e rappresaglie crudeli. Essi comprendono
che il movimento a ritroso iniziato a Borghetto, continuato
ad Ala, proseguito a Marco, non potrà essere arrestato
e compiono quindi gesta di terrore e di vendetta.
Tra gli atti di vandalismo si apprende l'incendio
del castello di Lissana [i.e. Lizzana] fra Marco e
Rovereto, famoso perché, secondo la tradizione, vi
dimorò Dante in esilio."
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